In occasione del quarantesimo anniversario il BLOG INGVterremoti pubblica alcuni articoli di approfondimento sul terremoto del 23 novembre 1980. Questi articoli, insieme a contributi provenienti da altri fonti e da altri autori, sono resi disponibili in questa sezione di TERREMOTO80.
A cura di Daniela Pantosti e Gianluca Valensise (INGV)
Il quarantesimo anniversario del catastrofico terremoto del 23 novembre 1980 è certamente un’occasione per alcune riflessioni
su come quell’evento, oltre ad aver profondamente modificato l’assetto urbanistico, economico e sociale della regione che ha colpito,
ha modificato il corso della ricerca in campo sismologico, e non solo in Italia. Il terremoto ha in effetti agito come un potente volano nei confronti di una ricerca che nei decenni precedenti aveva stentato a riprendere il ruolo e il peso che avrebbe meritato, in un Paese ad elevato rischio sismico e vulcanico quale è l’Italia. La disponibilità di dati strumentali di buona qualità e registrati in
real-time ha dato un forte impulso alla sismologia strumentale, che a sua volta poggiava su una lunga tradizione avviata già all’indomani del
terremoto del Belìce del 1968. Ma il particolare momento storico, che tra il 1973 e il 1980 aveva visto anche il riavvio del Piano Nucleare nazionale, e dunque la urgente necessità di comprendere meglio il potenziale sismogenetico delle diverse aree del Paese, convinse Enzo Boschi, salito alla guida dell’ING nel 1982, a proporre un sostanziale ampliamento dello spettro delle attività di ricerca svolte dall’Istituto
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a cura di Aldo Zollo (Dipartimento di Fisica, Università di Napoli Federico II )
Salgo le scale che portano al monolocale dove vivevo, il vicino del piano di sopra si precipita giù vedendomi arrivare: “
Il terremoto, il terremoto, fuggiamo via, …” Era completamente assalito dal panico. A grandi passi entro nella mia stanza, vedo il neon al soffitto che ancora oscillava, la luce che andava e veniva nella stanza. Il mio primo terremoto l’ho vissuto così, a cose ormai fatte, senza averne percepito lo scuotimento forte e lungo, solo attraverso la paura delle persone che mi hanno raccontato la loro esperienza di mancamento del suolo dovuto ad una vibrazione lenta, ampia e interminabile. Nel 1980 ero studente universitario, ai primi anni del corso di laurea in Fisica, studi che avevo intrapreso per una passione neanche troppo nascosta per le scienze della Terra e per la Fisica Terrestre, in particolare.
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a cura di Gaetano Festa e Aldo Zollo (Dipartimento di Fisica, Università di Napoli Federico II )
A cura di Simone Bello
Il video espone i risultati di una ricerca dal titolo “
Fault pattern and seismotectonic style of the Campania – Lucania 1980 earthquake (Mw 6.9, Southern Italy): new multidisciplinary constraints” (Bello et al., 2020) in corso di revisione per la pubblicazione sulla rivista Frontiers in Earth Science e finanziata con fondi PRIN-2017 (P.I. Prof. Giusy Lavecchia). In questo lavoro
Simone Bello (Università di Chieti) illustra nuovi dati geologico-strutturali lungo le tracce delle faglie affioranti nell’area epicentrale del terremoto Campano-Lucano del 1980 (M w 6.9), integrati con una revisione dei dati sismologici preesistenti e con una interpretazione aggiornata della linea sismica CROP-04 per ricostruire le geometrie superficiali e profonde, la cinematica e il campo di stress del modello di faglia sismogenica.
A cura di S. Porfido, R. Nappi, G. Alessio, G. Gaudiosi, E. Spiga
L’impatto dei forti terremoti sull’ambiente fisico ed antropico è un tema di cruciale interesse in un territorio densamente popolato e con un patrimonio artistico, storico e culturale di inestimabile valore come quello italiano. Analizzare le interazioni uomo-ambiente in un contesto specifico di grande vulnerabilità, come quello delle aree interne dell’Appennino meridionale, può fornire molti spunti di riflessione sia dal punto di vista scientifico sia dal punto di vista sociale. Abbiamo esaminato
la “Resilienza” delle comunità di alcun paesi colpiti dal terremoto, nell’intento di verificarne: “
la capacità di raggiungere un adattamento positivo a fronte di eventi significativamente stressanti e traumatici che, diversamente, potrebbero risultare gravemente invalidanti”
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Il terremoto del 1980 e le iniziative del Progetto Finalizzato Geodinamica (parte prima – parte seconda)
a cura di Massimiliano Stucchi
Quando
il terremoto del 23 novembre 1980 colpì Campania e Basilicata, le ricerche sui terremoti e i loro effetti si svolgevano in svariate sedi che associavano una notevole vivacità a una sostanziale frammentarietà. Accanto ai Dipartimenti Universitari, infatti, operavano Osservatori (Oss. Vesuviano a Napoli e Oss. Geofisico a Trieste), alcuni Istituti del CNR, un debole Istituto Nazionale di Geofisica, un debole Servizio Sismico Nazionale e le iniziative congiunte CNEN (Comitato Nazionale Energia Nucleare, progenitore dell’ENEA) – ENEL, nominalmente dedicate al nucleare.
Dal 1976 il Progetto Finalizzato Geodinamica (PFG) del CNR, che si stava avviando
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a cura di Maurizio Pignone e GDL INGVterremoti
Il
23 novembre 1980 alle ore 19:34, un forte terremoto di magnitudo M 6.9 colpì una vasta area dell’appennino campano-lucano con effetti devastanti soprattutto in Irpinia, tra le province di
Avellino,
Salerno e
Potenza. Nei primi momenti e nei giorni successivi al terremoto, non si riuscirono a fornire notizie precise sull’esatta localizzazione dell’evento per mancanza di dati disponibili in tempo reale, dal momento che allora non esisteva un unico centro di raccolta e di elaborazione dati e un servizio di sorveglianza sismica H24 come quello attuale. Le numerose scosse avvenute nelle ore e nei giorni successivi, e che si protrassero per diversi mesi, furono registrate soprattutto grazie ad una rete sismica temporanea installata da ricercatori italiani e stranieri provenienti da Parigi e Cambridge
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